STORIE

Sono cresciuto a Bolzano andando ogni domenica in un ristorante non molto distante dalla città famoso soprattutto per la sua iconica tartare di manzo, il proprietario ne preparava circa novemila all’anno. Usciva dalla cucina con il suo carrellino che ospitava un piatto con la carne appena tagliata al coltello e tutti i possibili condimenti tra salse, spezie e erbe aromatiche.
Non è difficile pensare ad un itinerario gastronomico in Alto Adige. Lo ammetto, sono di parte. Nato e cresciuto in Alto Adige, ho iniziato a sciare quando avevo quattro o cinque anni e onestamente la parte più bella della giornata era la pausa pranzo in baita (sarà per questo che non sono diventato un grande sciatore): dopo tre ore a sciare con temperature abbondantemente sotto lo zero, si sognava una zuppa di gulasch, dei canederli in brodo o un piatto di polenta con salsicce al sugo.
A volte prendo la macchina e mi metto in viaggio. Senza una destinazione precisa e senza pensare a quanti chilometri dovrò fare. Solo alla ricerca di un po’ di serenità, di quiete, di ottimo cibo e di grandi vini. È ovvio che se comincio a parlare di paesaggi da cartolina, colline ondulate e vigneti baciati dal sole che si estendono all’orizzonte, ci torna in mente subito la nostra Toscana.
Cosa sarebbe il mondo senza erbe aromatiche? Nella cucina, sicuramente, non ci sarebbe il romanticismo. E soprattutto mancherebbe la soggettività e la personalità dei piatti. Sono dei tesori così preziosi e versatili, che consentono a ciascuno di noi di dare una particolare rappresentatività o storia ai piatti che prepariamo. E di certo non esiste mai una decisione giusta o una sbagliata.
Nella cucina esistono degli elementi, o delle preparazioni, che sono alla base di molti piatti che cuciniamo durante la settimana: i brodi sono il classico esempio di qualcosa che può avere un effetto dirompente su un particolare piatto, rispetto alla facilità, sia di preparazione che, anche, e non è un dettaglio da poco, di conservazione.
Ho sempre avuto una certa predilezione per le lunghe cotture. Una frase che mi ha sempre appassionato è “patience is the secret to good food”, è qualcosa che ho sempre collegato alla cucina di una volta, con mia nonna seduta sulla sedia della cucina ad aspettare la cottura dell’ossobuco. In pace, leggendo magari un giornale o una rivista.
La padellata mi ricorda casa. Le cene in montagna, nei ristoranti tipici altoatesini, alcuni dove addirittura servivano le padelle direttamente al tavolo con dentro un bellissimo stinco di maiale lucente o delle pennette piccanti al pomodoro, panna e speck. I tavoli e le panche di legno dove c’era chi beveva un bicchiere di Forst gelata e chi beveva una bottiglia di Lagrein.
C’è chi erroneamente pensa che una planetaria serva a chi è appassionato di dolci. Certo, è uno strumento che strizza l’occhio agli esperti di pasticceria, ma sarebbe un grande errore limitare il suo uso a un ramo della cucina importante, ma non fondamentale.
Non sono un chimico e questa non è una lezione di chimica, ma è giusto che tutti siano a conoscenza dei fenomeni misteriosi che avvengano quando zuccheri e proteine vengono a contatto con il calore e generano quello straordinario effetto di imbrunimento del cibo e quel sapore di ‘cotto’ tipico che abbiamo quando grigliamo la carne, prepariamo il pane, ma anche quando prepariamo un dolce in forno.